la prima volta che ho soccorso un suo maglione, si trattava di un caso disperato.
il poveretto era benvoluto, ma anche tarmato, infeltrito e bucato sui gomiti.

l’operazione di salvataggio è stata rapida, efficace e spontanea.

bagnococcola rilassante
+ rammendo veloce
+ uno scampolo di fustagno
+ delle forbicine da manicure
+ la fortuna di un filo in tinta trovato in casa
= un candidato straccio che si riguadagna un posto da titolare tra i preferiti

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maglioncino rammendato
ne ho anche approfittato per provare a usare la tecnica sashiko in modo funzionale!

niente male per un lavoro fatto in una qualche maniera nel tempo di un viaggio in treno ♥

una soddisfazione che mi sarei goduta con calma, magari sfruttandola per motivarmi a ridurre il numero dei calzini bucati, se mio marito non mi avesse presentato speranzoso altri due capi bisognosi di restauro.

non due a caso.
i suoi preferiti.
il timido maglioncino-che-va-in-tintoria-altrimenti-si-rovina.
e quel fighetto borghese del suo cashmerino-del-cuore.

che sono rimasti a prender polvere nel cesto del cucito.
per mesi.
e mesi.
e mesi.

di voci arancione fluò che – appena provavo a metterci mano – si premuravano di farmi notare che: “il filo non è del colore giusto!”, “non c’è abbastanza luce!”, “le toppe che hai scelto sono troppo rigide!”, “sei davvero sicura della posizione?”, “se si scoprisse che non sei competente come ci si aspetta che tu sia, verrai abbandonata e morirai sola e affamata in una scatola di cartone!”.

ops.
non volevo scriverlo ad alta voce.

facciamo che tiro una bombetta fumogena ninja e ti racconto un aneddoto.

disse una volta il saggio zhuangzi:

se scommetti una sporta di cocci, la tua abilità nel tiro con l’arco è integra perché non rischi nulla; poi scommetti la tua fibbia di bronzo, e inizi a preoccuparti per la tua mira; quando arrivi a giocare dell’oro, sei pietrificato.

la tua abilità effettiva è indipendente dalla posta in gioco e resta invariata, ma il valore che attribuisci a ciò che viene messo in palio sposta la tua attenzione dall’azione a questi oggetti esterni.

così, chi si focalizza su ciò che è esteriore, diventa maldestro all’interno.

una storia che mi pare di aver già sentito…
parlava forse di una sconfitta per perfezionismo nella sfida per difendere l’ego il titolo? :-P

in generale, chi vincola il senso di sé e del proprio valore personale al successo (e/o all’efficienza e/o alla produttività e/o alla preparazione):

  • affronta le sfide come se dovesse dare prova inoppugnabile della sua adeguatezza;
  • si impone di compensare i difetti e le mancanze che si attribuisce con performance superiori a quella necessarie;
  • non si concede possibilità di errore.

in pratica, è come se si costringesse a scommettere una posta altissima – che non può assolutamente permettersi di perdere – ogni volta che accede al campo di tiro.

achtung! alzare gli scudi! avviare le manovre evasive!

quando la perfezione non è un ideale a cui tendere ma un requisito da soddisfare per eludere la possibilità del fallimento, anche un’azione di scarsa importanza come il rammendo di due preziosissimi maglioni consunti può essere sufficiente per attivare il sistema d’allarme :-/

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ego fragile! maneggiare con cautela!
attaccano da ogni direzione!

e ci sta che l’addetto interno all’autopreservazione – esausto, ipersollecitato e in debito di sonno – a un certo punto se ne esca con una serie di proposte troppo allettanti per essere rifiutate con costanza.

“rimanda a un momento migliore.”
e/o “ma ti interessa davvero, ‘sta cosa?”
e/o “vattene fischiettando mentre nessuno guarda.”

qualsiasi cosa possa servire per evadere e salvare qualche frammento di faccia.

(tanto per mettere una pezza sui danni causati dalla figuraccia è sufficiente aderire a un set di regole e standard ancora più rigido e difficile da sostenere o immergersi in una maratona di netflix per non affrontare il disagio, no?)

man mano che il divario tra “ciò che dovrebbe essere” è “ciò che è” aumenta, il processo si fa più estenuante, il terrore di fallire più paralizzante, il comportamentopiù evitante.

come se ne esce?

non certo usando la testa :-)

il perfezionista la teoria la sa, e non gli serve sapere razionalmente che se:
✓ non si accetta per quel che è;
✓ identifica il suo valore personale con ciò che fa e con i risultati che ottiene;
✓ lega la sua idea di sé a un ideale astratto irraggiungibile;
✓ si fa fregare della logica dell’“o tutto o niente”;
rischia di prendere un treno diretto per burnoutdepressione e ansia sociale.

ciò nonostante, non ha proprio proprio tutti gli strumenti necessari per ammettere (senza sentirsi ancora più inadeguato) che il suo sistema difensivo – quello che costruito e mantenuto a così caro prezzo – è tossico e nocivo, e che forse è il caso di smantellarlo.

il primo passo è la resa.

se si combatte la realtà si perde: arrendersi all’evidenza di ciò che e riconoscere l’imperfezione come dato di fatto (in se stessi, negli altri e nel mondo) sono entrambe conditio sine qua non per uscire da questa impasse.

una tensione sana verso il miglioramento – che sia in grado di stimolare e sostenere la crescita del soggetto e dirigerlo verso un “non ancora” che completa, sviluppa o perfeziona il qui ed ora senza invalidarlo né svilirlo – può scaturire solo da un’accettazione incondizionata di sé e della situazione attuale.

il secondo può essere cercare degli alleati.

il processo di (auto)accettazione è lungo, faticoso e frustrante. costellato di sconfitte. disseminato di ricadute.
soprattutto per chi ha passato la vita a nascondere e a nascondersi proprio da ciò che adesso si trova a dover accogliere.

per quanto mi riguarda – dopo aver collezionato più di un livido sbattendo la faccia qua e là come un prigioniero impanicato in una trappola di cristallo – sono stata costretta a scoprire che l’unica possibilità reale di fare reset e ricominciare da zero senza sentirmi un’idiota è coltivare con pazienza una qualità che al momento è davvero piccina piccina.

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piccola dea della compassione
la riconosci anche se è chibi?

la mia guida in questo percorso è una piccola dea della compassione chiamata guanyin.
mi sta insegnando che sorridere (anche di me stessa e dei miei fallimenti) e perdonare (soprattutto me stessa, gli errori e le scelte che ho fatto e i miei meccanismi maladattivi) sono due ottimi compagni di viaggio.

appena ci faccio un po’ più di amicizia (e imparo ad approfittare del suo incoraggiamento e degli strumenti che mi sta aiutando a costruire) ne parlerò un po’ più diffusamente :-)

note, approfondimenti e roba più o meno correlata

l’aneddoto dell’arciere viene dal zhuang-zi (anche noto come chuang-tzu ), un classico taoista, edito in italia da adelphi e urra. volendo si trova online anche sottoforma di pdf ;-)

la piccola chibi-guanyin sorridente mi ha seguito qualche anno fa quando sono tornata da taiwan; trovo estremamente serendipitoso averla ritrovata proprio ora che ne ho bisogno :-)