C’è stato un tempo in cui in montagna ci andavo con le pedule pesanti, lo zaino super regolabile e ventilato, il k-way, il pile, la maglietta di ricambio, i braghini lunghi di scorta, le mappe, i bastoncini telescopici, i guanti col grip, le ghette, la mantella, le bende elastiche, i cerotti, il pranzo, la merenda, la borraccia dell’acqua, il thermos col caffè, la correzione per il caffè, l’integratore di sali, la roncolina, la protezione solare, il repellente per gli insetti, il costume da bagno, l’asciugamanino in microfibra, il binocolo, la macchina fotografica, il libro delle piante, quello delle orme e chissà cos’altro pensavo che potesse servire “in caso che”.

Mi portavo dietro la casa. Anche per le gite brevi da mezza giornata. Perché non si sa mai.
Inerpicarsi lungo un sentiero con quella roba sulle spalle era come percorrere una via crucis penitenziale :-P

FFW di un lustro abbondante

La mattina di ierl’altro sono uscita di casa con l’acqua, la cartina, i documenti, il telefono, le chiavi di casa e 5 obiettivi precisi: avvicinarmi quanto possibile alla punta delle Quattro Sorelle, dare un’occhiata al versante che dà sull’altra valle, pranzare a casa coi miei, farmi una doccia come si deve prima di mettermi in viaggio e non perdere il treno.

Non avevo un’idea molto precisa di dove sarei arrivata (non avevo mai superato il poggio prospiciente) ma l’intenzione era quella di proseguire massimo fino alle 11:00, per poi scendere per la militare dopo una breve pausa. In ogni caso, se volevo smazzarmi 1000 e 200 e spicci metri di dislivello entro il cut-off dovevo essere veloce. O quanto meno più veloce del solito :-P

Indossando scarpe leggere e camminando senza pesi, ho passato la linea della vegetazione con un notevole anticipo sui ritmi abituali. Pur non osando raggiungere la vetta (i tempi erano comunque troppo stretti) mi sono potuta concedere di attraversare la pietraia a mezza costa, salire sul lato basso della cresta e azzardare una discesa un po’ più tosta e decisamente più lunga sull’altro versante.

Ho anche provato a fare alcune tratte di corsa per accelerare i tempi del ritorno e provare a capire se il trail running mi piaceva anche in pratica, oltre che in teoria :-D

Sono soddisfatta :-)

È qualche anno che io e le scarpe chiuse/rigide/pesanti ci guardiamo un po’ in cagnesco.
Questo modello di sandalo ha dei limiti non facilmente ignorabili in discesa (su pendenze importanti e sullo sdrucciolo) e quando si bagna, perché la parte superiore della suola non ha grip sufficiente e il piede sguiscia in avanti e lateralmente. Una scarpa aperta con il pollice bloccato però, in cui il piede scivola meno e resta sempre solidale con la suola, dovrebbe consentire di camminare in sicurezza su gran parte dei terreni.

Sono anche contenta di aver rivisto il mio concetto di utile e superfluo :-)
Se entro la fine dell’estate riesco a fare almeno altre 5 o 6 escursioni light, l’anno prossimo forse mi regalo un minizaino di quelli con la borraccia inclusa :-P

Quello che ci portiamo dietro deve essere utile e commisurato alle necessità.

L’equipaggiamento ci aiuta a gestire le difficoltà e ci permette di essere preparati in caso di imprevisti ma, se vogliamo evitare di appesantirci e affaticarci inutilmente, deve essere proporzionato ai bisogni e facilitare la nostra esperienza. Tutto può servire – e tutto prima o poi servirà almeno una volta. Ma vale la pena portarselo sempre dietro?

È vero che in montagna il clima è spesso mutevole e che ci sono condizioni in cui siamo davvero prudenti, preparati e saggi a portarci dietro anche la coperta isotermica d’emergenza, ma spesso proiettiamo sul contenuto del nostro zaino una combinazione di altre esigenze. Fra cui quelle dettate da una scarsa preparazione fisica o organizzativa, dal bisogno di controllare l’ansia o dal culto di Murphy, per cui tutto quello che potrà andare male inevitabilmente lo farà.

Poi c’è una seconda componente, che riguarda quello che ci piace raccontare a noi stessi.

Per quanto io cerchi mantenermi quanto più minimal possibile -e nonostante io non possa permettermi di spendere centinaia di euro in materiale che obiettivamente non è necessario o prioritario nella mia vita attuale- io adoro l’equipaggiamento tecnico. Mi piace guardarlo, toccarlo, godere dei loro materiali e dell’ingegnosità delle soluzioni che propongono.

Ma non solo.

Guardo le piccozze e i ramponi e sogno me stessa mentre mi arrampico sulle cascate ghiacciate.
Poi ricordo che dovrei prima dedicare ore e ore di paziente lavoro di rinforzo alla mia scalcagnata spalla destra (che non ho né la costanza né la voglia di fare) e li metto giù con un sospiro.

Guardo il saccopelino supercompatto e immagino lunghe traversate di rifugio in rifugio; ne ho comprato uno nel 2011, credo, e indossa ancora il cartellino col prezzo con cui è arrivato a casa :-/

Metà dell’equipaggiamento che posseggo è gemello di quello di una persona che ho perso di vista.
Avevamo lo stesso zaino, le stesse ghette, gli stessi guanti da roccia, lo stesso caschetto, lo stesso set da cordata, le stesse racchette. Amavamo entrambi la montagna e -fino all’ultimo- andare per vette con le nostre belle cosine en pendant ci ha aiutato a credere di essere, a modo nostro, una coppia felice che provava a darsi un futuro: “È in sconto, prendiamolo, così nelle vacanze ci facciamo un giro su quel ghiacciaio che non abbiamo ancora affrontato!”

Quante volte finiamo per comprare un sogno, invece di un oggetto che ci serve?

È fin troppo facile dimenticare che non siamo escursionisti perché abbiamo i pantaloni super fighi che si asciugano subito e una giacca fantastica e lo zaino super tecnico che riempiamo di cose fighissime, ma perché le facciamo, ‘ste benedette escursioni :-P

E che per fare un sentiero da gitanti della domenica non abbiamo bisogno di scarpe corazzate da 2kg l’una, ma di gambe che hanno camminato anche in città e di caviglie forti e flessibili, ben allenate da una corretta preparazione :-)

Quello che conta davvero, in fondo, è valutare obiettivamente le circostanze.

Se lo scopo è quello di fare un picnic in quota, l’attrezzatura da ferrata si può lasciare a casa.
Se si pensa di fare un itinerario impegnativo, magari non è necessario portarsi dietro un pranzo degno di una corte rinascimentale.
Se invece amiamo la sensazione che ci danno le vette ma moriamo all’idea di camminare per 3 ore sotto il sole cocente… beh, allora possiamo tranquillamente risparmiare sull’abbigliamento tecnico e scegliere delle località che ci permettano di arrivare in punta con la teleferica ;-)